giovedì 26 febbraio 2009

Dal "Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

[...] Chevalley volle fare un ultimo sforzo: - Principe, ma è proprio sul serio che lei si rifiuta di fare il possibile per alleviare, per tentare di rimediare allo stato di povertà materiale, di cieca miseria morale nelle quali giace questo che è il suo popolo? Il clima si vince, il ricordo dei cattivi governi si cancella, i Siciliani vorranno migliorare; se gli uomini onesti si ritirano, la strada rimarrà libera alla gente senza scrupoli e senza prospettive; e tutto sarà di nuovo come prima, per altri secoli. Ascolti la sua coscienza, Principe, e non le orgogliose verità che ha detto. Collabori. -
Don Fabrizio gli sorrideva, lo prese per la mano e lo fece sedere vicino a lui sul divano: - Lei è un gentiluomo, Chevalley, e stimo una fortuna averlo conosciuto; Lei ha ragione in tutto; si è sbagliato soltanto quando ha detto "i Siciliani vorranno migliorare". Le racconterò un aneddoto personale. Due o tre giorni prima che Garibaldi entrasse a Palermo mi furono presentati alcuni ufficiali di marina inglesi, in servizio su quelle navi che stavano in rada per rendersi conto degli avvenimenti. Essi avevano appreso, non so come, che io posseggo una casa alla Marina, di fronte al mare, con sul tetto una terrazza dalla quale si scorge la cerchia dei monti intorno alla città; mi chiesero di visitare la casa, di venire a guardare quel panorama nel quale si diceva che i Garibaldini si aggiravano e del quale, dalle loro navi, non si erano fatti un'idea chiara. Vennero a casa, li accompagnai lassù in cima; erano dei giovanotti inglesi malgrado i loro scopettoni rossastri. Rimasero estasiati dal panorama, dalla irruenza della luce; confessarono però che erano stati pietrificati osservando lo squallore, la vetustà, il sudiciume delle strade di accesso. Uno di loro, poi, mi chiese che cosa veramente venissero a fare, qui in Sicilia, i volontari italiani. "They are coming to teach us good manners", risposi, "but won't succed, because we are gods". "Vengono per insegnarci le buone creanze, ma non lo potranno fara, perchè noi siamo dèi". Credo che non comprendessero, ma risero e se ne andarono. Così rispondo anche a Lei, caro Chevalley: i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono d'essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla, calpestati da una decina di popoli differenti essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi.
Adesso anche da noi si va dicendo che la colpa è del cattivo stato delle cose, qui e altrove, è del feudalesimo; mia cioè, per così dire. Sarà. Ma il feudalesimo c'è stato dappertutto, le invasioni straniere pure.
Non credo che i suoi antenati, Chevalley, o gli squires inglesi o i signori francesi governassero meglio dei Salina. I risultati intanto sono diversi. La ragione della diversità deve trovarsi in quel senso di superiorità che barbaglia in ogni occhio siciliano, che noi stessi chiamiamo fierezza e che in realtà è cecità. Per ora, per molto tempo, non c'è niente da fare. Compiango; ma, in via politica, non posso porgere un dito. Questi sono discorsi che non si possono fare ai Siciliani, e io stesso, del resto, se queste cose le avesse dette lei, me ne sarei avuto a male.[...]

Da Siciliana fiera commento: quando la cecità vorrà sparire dai nostri occhi e riusciremo a vedere che stiamo andando in rovina?

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